
La giurisprudenza si è sempre pronunciata nel senso della non vincolatività della disciplina in esame per quanto riguarda gli esami idoneativi ovvero tra gli altri gli esami per l'abilitazione all'esercizio della professione forense. Da ultimo si cita la pronuncia del Tar Lombardia sede di Milano , sentenza breve n.389/2011, che sul punto in questione dichiara la doglianza priva di fondamento inquanto la disciplina specifica per la professione forense non impone l'estrazione a sorte delle domande in sede di esame orale. Questo è quanto.
Sulla distinzione oggettiva tra concorso pubblico ed esame per l'atribuzione di un titolo abilitativo, niente da dire, si tratta di fattispecie ben distinte.
Ma per quale motivo l'accesso alla pubblica amministrazione dovrebbe recare maggiori garanzie di trasparenza ( quali quelle indotte dall'estrazione a sorte dei quesiti in sede di orali) rispetto all'esame idoneativo?
Considerando la fattispecie dal punto di vista soggettivo, anche nell'ipotesi dell'esame idoneativo la Commissione Centrale presso il ministero della Giustizia a Roma e le varie Sottocommissioni istituite per gli esami presso le varie sedi di Corte d'Appello, nominate con decreto del Ministro, sono a tutti gli effetti delle Pubbliche Amministrazioni.
Per quale motivo l'interesse legittimo del candidato ad un esame idoneativo dovrebbe sopportare questa deminutio di tutela procedimentale rispetto al candidato ad un concorso pubblico?
L'art. 1 della legge sul procedimento amministrativo, senza andare ad invocare i massimi sistemi e la Costituzione, prescrive per la pubblica amministrazione il caposaldo dell'imparzialità. Per quale motivo l'interesse pubblico connesso agli esami di abilitazione dovrebbe esserne sguranito? Non si tratta anche in questo caso di un atto soggettivamente amministrativo? E l'interesse pubblico non vi è dunque coinvolto? D'altronde lo stesso Tar Lombardo, sede di Milano,con sentenza n.1893 del 2008, ha ammesso che anche con riguardo agli esami idoneativi il principio di cui all'art. 12 Dpr 487/1994 si applica in quanto di portata generale:" E’ ormai però espressione di un principio generale peraltro sancito dall’art. 12,comma 1,DPR 487\94 in tema di concorsi pubblici che le commissioni esaminatrici alla prima riunione debbano stabilire i criteri e le modalità di valutazione delle prove."
Si ponga attenzione, per quanto riguarda il nostro oggetto alla menzione relativa alla previa predisposizione delle modalità di svolgimento delle prove.
Qualunque studente del I^ anno d'università, sa bene che la legge speciale sebbene anteriore non è derogata dalla disciplina generale ancorchè posteriore.
A tal punto non si tratta di stabilire che la disciplina specifica della professione forense non impone il criterio procedimentale dell'estrazione a sorte delle domande in sede di orali, ma piuttosto se nella disciplina specifica ( R.D.n. 1578 del 1933 e ss.mm.ii.) vi sia una deroga esplicita od una incompatibilità impicita alla regola generale.
La risposta negativa ci perviene, non dalle nostre personali elucubrazioni, ma dal fatto che la Commissione Centrale per gli esami di abilitazione alla professione forense, istituita presso il Ministero della Giustizia e presieduta dall'Avv. De Giorgi del foro di Lecce, ha indicato tra i criteri procedimentali per lo svolgimento dell'esame orale, proprio la previa predisposizione dei quesiti e la successiva estrazione a sorte da parte del candidato ( verbale Commissione Centrale del 09/12/2010, sessione 2010/11).
In effetti non esiste alcuna deroga nella disciplina del Regio Decreto, impilicita od esplicita, alla regola generale espressa dall'art. 12 cit.
Attenzione. Ad un'attenta lettura del verbale della Commissione Centrale presso il Ministero si ricava che la Commissione " suggerisce" la previa predisposizione dei quesiti da porre, quindi nel periodo successivo sottolinea la necessità dell'estrazione a sorte dei quesiti da parte del candidato di turno.
Un' interpretazione maliziosa potrebbe realisticamente sostenere che il criterio è semplicemente "suggerito" alle varie Sottocommisioni presso le Corti d'appello.
Sul fatto che tale interpretazione sia realistica, niente da dire, perchè è esattamente quello che sostiene l'Avvocatura dello Stato.
Sul fatto che tale interpretazione sia fantastica, nelle varie accezioni del termine, lo dirò tra breve.
Sulla maliziosità di tale interpretazione non mi soffermo nemmeno giacchè come diceva Hans Kelsen nella sua teoria pura del diritto, si tratta solo di una personale chiosa giusnaturalisica che nulla aggiunge alla questione.
Ma, tornando all'interpretazione fantastica nei suoi varii sensi: e cioè che la predisposizione e la successiva estrazione a sorte delle domande sia una mera facoltà delle Sottocommissioni. Tale interpretazione pone alcune questioni che ne rappresentano bene la contraddittorietà ed il carattere fantastico:
1. per quale motivo la Commissione Centrale avrebbe dovuto indicare un criterio per poi lasciare ogni Sottocommissione libera di non applicarlo?
2. se così fosse, si tratterebbe di un criterio scritto con l'inchiostro simpatico, cioè di un non-criterio, con il quale la Commissione Centrale sarebbe venuta meno all'obbligo di indicare le modalità di svolgimento dell'esame;
3. che senso avrebbe poi, l'ulteriore indicazione del verbale in cui si dice, cito quasi alla lettera, che i varii componenti sono comunque liberi, tramite il presidente, di porre domande di ulteriore approfondimento al candidato?
4. ma soprattutto così facendo, non si introduce in modo clamoroso una gigantesca disparità di trattamento tra i varii candidati delle diverse sedi di Corte d'Appello? ( si ricorda a tal punto l'art. 1 della legge 241/1990) n.b. più di quanto non avvenga già per la ben nota rigorosità delle Commissioni al di là della linea gotica ( ma questa è un'altra storia....)
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