
Il diritto di difesa è conculcato, ogni qual volta lo si fa dipendere dal danaro; ma c'è il gratuito patrocinio, tuttavia, la butto lì, non mi pare che chi superi la franchigia accordata per il gratuito, sia ipso facto ed automaticamente un oligarca russo dell'energia! Mi si dirà bisogna rivedere la disciplina del gratuito, ma tanto vale dichiarare la iniquità del sistema di contributo unificato tributario, che la Consulta avrebbe potuto censurare. Manca il tertium comparationis ? Il sistema piramidale per valore-materia del processo civile non è adatto, e neanche quello processual-amministrativo: ciò non può significare che il criterio tagliola escogitato per il contributo unificato tributario, sia incomparabilmente ed isolatamente considerato, scevro da ogni difetto: invero ne abbonda. Il valore del C.U. tributario , come già in passato, si determina sulla scorta del valore di ciascun atto impugnato.
Principiando dai CC.UU. tributari fino alla somma irrisoria di 2.583,28€ ( per una causa tributaria ) il C.U. è tutto sommato di modesta entità: 30.00euro; se col medesimo ricorso cumulativo, opponete due cartelle del valore ciascheduna contenuto nel I^ scaglione, pagherete un C.U. tributario complessivo di € 60,00; che tutto considerato appare ancora equo, considerato che accedendo alla tesi del cumulo del valore totale delle due cartelle, vale a dire: 5.166,56 scatterebbe addirittura il terzo scaglione che prevede un C.U. di 120,00€; mentre due cartelle di 5.000,00€ si conterrebero nel medesimo scaglione, terzo, con C.U. di 120,00€ accedendo alla tesi cumulativo-civilistica, mentre sommando il valore dei due atti, a disciplina vigente il C.U. da pagarsi sarebbe edè di € 240,00,poco al di sotto del IV^ scaglione che prevede un range da 25.000,00 € a 75.000,00€ !Capite bene che il basso valore del C.U. tributario, con tale sistema si rivela un vero e proprio trojan horse, per cui il contribuente medio-piccolo, quello delle due cartelle da 5.000,00€ può trovarsi a pagare quanto il grosso contribuente , censito fino a 75.000,00; per intendersi a quella somma di 5.000,00€ si può arrivare con allegra facilità per le pp.aa., e se poi le cartelle sono tre, supponendole sempre nello standard dei 5000.00€, il C.U. tributario da pagarsi è 360.00€, con superamento del IV^ scaglione il cui valore massimo è di €75.000,00€ a fronte di una causa il cui valore complessivo è di 15.000,00€, e che applicando il crterio cumulativo-civilistico maturerebbe un c.u. di 120.00€.Impugnare tre atti di valore al di sotto del minimo costa 90,00€, ed assumendo di avere contestata una cartella al di sotto del minimo ed una del valore medio di 5.000,00€, il C.U. che il contribuente deve liquidare è di 150,00€. La questione di evidente giustizia sostanziale è stata rimessa alla Consulta, che ha generato questa pronunzia di cui riporto la parte"in diritto":

1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria provinciale di Campobasso ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 3-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia - Testo A) - nella parte modificata dall'art. 1, comma 598, lettera a), della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2014) - in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 113 e 117, primo comma, Cost. ed in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.
Il giudice rimettente riferisce che una società (Ges.A.C. srl, in liquidazione) ha proposto ricorso contro due inviti bonari di pagamento notificati dalla segreteria della Commissione tributaria provinciale di Campobasso, in relazione ad altrettanti precedenti ricorsi cumulativi (contro più atti impositivi), proposti dalla predetta società, con cui quest'ultima veniva invitata ad integrare il versamento del contributo unificato, ritenuto insufficiente. La ricorrente si doleva del fatto che con riguardo ai ricorsi cumulativi il contributo unificato fosse stato calcolato applicando la regola generale prevista per il ricorso contro l'atto singolo, cioè considerando l'importo dei diversi atti impugnati, piuttosto che la somma finale ottenuta cumulando tali importi, come avverrebbe per il processo civile. Tale modalità di calcolo deriverebbe, a suo dire, dall'applicazione della disposizione censurata, come modificata dalla legge di stabilità per il 2014, con la quale è stato disposto che il contributo unificato debba essere «determinato per ciascun atto impugnato, anche in appello», chiarendo che il suddetto criterio trovi applicazione anche nel caso del ricorso cumulativo.
Ad avviso della Commissione tributaria provinciale di Campobasso la novella recata dalla legge di stabilità per il 2014 violerebbe i principi costituzionali di uguaglianza e ragionevolezza (art. 3 Cost.), di capacità contributiva (art. 53 Cost.), del diritto di difesa (art. 24 Cost.) e della tutela giurisdizionale (art. 113 Cost.), nonché del diritto ad un processo equo e ad un rimedio giudiziale effettivo (art. 117, primo comma, Cost. in relazione agli artt. 6 e 13 della CEDU).
In particolare, il rimettente sottolinea che l'applicazione della norma censurata imporrebbe di chiedere un identico esborso a titolo di contributo unificato a chi attivi un solo processo proponendo un unico ricorso per più atti ed a chi, proponendone uno per ciascun atto impugnato, provochi l'attivazione di molteplici processi. Risulterebbe così notevolmente pregiudicata l'esigenza di snellire e rendere celeri i procedimenti giudiziari, che meglio potrebbe essere soddisfatta con la presentazione di un unico ricorso cumulativo.
La Commissione tributaria assume il contrasto del citato comma 3-bis dell'art. 14 con i principi di cui agli artt. 3 e 53 Cost. ed, in particolare, l'irragionevolezza della nuova disposizione, che opererebbe una discriminazione in ordine all'entità del sacrificio imposto al contribuente nel ricorso cumulativo, nonché laddove prevede una diversa quantificazione dell'ammontare del contributo unificato in caso di provvedimenti concernenti tributi rispetto a quelli che concernano solo sanzioni (per i quali si applicherebbe il principio del cumulo), pur a parità di debito verso l'erario.
La disposizione impugnata, secondo il rimettente, sarebbe, inoltre, incoerente ed irrazionale poiché al presupposto impositivo unitario (iscrizione a ruolo di un solo ricorso, per un solo processo) farebbe corrispondere una molteplicità di basi imponibili (i valori dei singoli atti impositivi e non il valore del processo).
I principi di uguaglianza e ragionevolezza risulterebbero violati anche in comparazione alla disciplina dettata nel processo civile per le domande azionate cumulativamente, alle quali si applicherebbero gli artt. 10 e 104 del codice di procedura civile, essendo identico il presupposto dell'imposizione («iscrizione a ruolo di un processo civile [...] amministrativo o tributario») ed essendo identico l'indice di capacità contributiva, ritenendo illogica una normativa che, per esigenze di cassa, impone un diverso sistema di calcolo degli obblighi tributari per i due gradi di merito, più oneroso nel processo tributario rispetto a quello civile.
La norma, inoltre, contrasterebbe con l'art. 53 Cost. in relazione alla capacità contributiva, in quanto il contribuente che proponga un ricorso cumulativo si troverebbe a pagare a titolo di contributo unificato un importo maggiore di quello corrispondente al valore del processo determinato sulla sommatoria dell'ammontare dei soli tributi (oggetto degli atti impugnati), trattandosi di un onere volto al finanziamento delle spese giudiziarie e commisurato al valore del processo, con la conseguenza che la base imponibile dovrebbe ritenersi costituita dal valore della controversia, anche ove riguardi più atti tributari, in quanto finalizzato a sostenere il costo forfettario di quel processo e non dei singoli atti che ne sono oggetto.
La norma impugnata violerebbe anche il diritto di difesa sancito dall'art. 24 Cost., in quanto risulterebbe scoraggiata, per i motivi in precedenza evidenziati, l'iniziativa di coloro che vogliano avvalersi del ricorso cumulativo o collettivo per la difesa delle proprie ragioni.
Il rimettente ritiene, inoltre, che la norma impugnata confligga con l'art. 113 Cost., in quanto l'imposizione di un contributo unificato nel ricorso cumulativo non rapportato al costo del processo, ma ai singoli atti impugnati, costituirebbe un eccessivo peso tributario dal quale scaturirebbe una riduzione della tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione.
Infine, la Commissione tributaria provinciale di Campobasso ravviserebbe l'illegittimità della disposizione impugnata in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost. ed in relazione agli artt. 6 e 13 della CEDU, in quanto l'imposizione di un contributo così gravoso per il ricorso cumulativo o collettivo comprometterebbe seriamente il diritto ad un processo equo.
2.- Prima di passare all'esame delle questioni così specificate è utile una sintetica ricostruzione, ai soli fini che qui interessano, del quadro normativo e giurisprudenziale inerente al regime di tassazione degli atti giudiziari, dalla quale emerge un contesto eterogeneo dei criteri applicabili, influenzato dalle diverse situazioni sostanziali e processuali che ne sono alla base.
L'art. 13, comma l, del d.P.R. n. 115 del 2002 ha introdotto un nuovo regime di tassazione degli atti giudiziari, costituito da un «contributo unificato» fissato secondo i due criteri, alternativi o concorrenti, della materia e della proporzione al valore della controversia, che sostituisce il sistema previgente basato sul pagamento di una marca da bollo da versare anticipatamente al momento dell'iscrizione a ruolo e sul versamento di diritti di segreteria (ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642, recante «Disciplina dell'imposta di bollo»).
L'applicazione del contributo unificato è stata estesa al processo tributario dall'art. 37, comma 6, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria) - convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111 - che ha modificato l'art. 9 del d.P.R. n. 115 del 2002.
Quest'ultima disposizione stabilisce, al primo comma, che il contributo unificato di iscrizione a ruolo è dovuto per ciascun grado di giudizio nel processo civile, compresa la procedura concorsuale e di volontaria giurisdizione, nel processo amministrativo e nel processo tributario.
Quanto alla determinazione del contributo, l'art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002 stabilisce criteri diversi per il processo civile, amministrativo e tributario. Nel primo, per la quantificazione del contributo - come determinato dai primi sei commi del predetto art. 13 - vengono in rilievo sia la materia che il valore della controversia; nel secondo - disciplinato dal comma 6-bis del medesimo articolo - è stato adottato il criterio della differenziazione per materia; nel processo tributario - per i ricorsi davanti alle commissioni tributarie - il successivo comma 6-quater stabilisce importi crescenti per scaglioni di valore delle liti.
L'art. 14 del d.P.R. n. 115 del 2002 fissa i criteri per l'individuazione degli obbligati al pagamento e per la determinazione del valore dei processi. Nel processo civile il valore, fissato mediante rinvio alle disposizioni del codice di procedura civile, deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni dell'atto introduttivo. Per quanto riguarda il processo amministrativo è prevista una disciplina specifica per i ricorsi in materia di affidamento di lavori pubblici, servizi e forniture e contro i provvedimenti delle autorità amministrative indipendenti. Nel processo tributario il comma 3-bis dell'art. 14, nel testo precedente le modifiche apportate dalla legge n. 147 del 2013, prevedeva che: «[
] il valore della lite, determinato ai sensi del comma 5 dell'articolo 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni, deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni del ricorso, anche nell'ipotesi di prenotazione a debito».

L'art. 1, comma 598, della legge n. 147 del 2013 ha modificato il menzionato comma 3-bis dell'art. 14, specificando che il valore della lite è determinato «per ciascun atto impugnato anche in appello».
A seguito delle modifiche alla disciplina della difesa tecnica, introdotte dal citato d.lgs. n. 156 del 2015, il riferimento al "valore della lite" è stato spostato dal comma 5 (che ha assunto un contenuto diverso) del citato art. 12 al precedente comma 2. Parallelamente, il richiamo al «comma 5», contenuto nell'art. 14 del d.P.R. n. 115 del 2002 è stato sostituito (dall'art. 10, comma 2, del citato d.lgs. n. 156 del 2015) con quello al comma 2 del medesimo art. 12.
La modifica recata dal d.lgs. n. 156 del 2015, successiva all'ordinanza di rimessione, non incide, peraltro, sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate, essendo rimasto sostanzialmente immutato il quadro normativo considerato dal giudice a quo.
In definitiva, dalla esposta premessa si ricava implicitamente la difficoltà ad individuare un principio o una fattispecie suscettibile di analogia, utilizzabile nel presente giudizio quale tertium comparationis. Peraltro, il già variegato contesto normativo non è stato tenuto in minima considerazione dal rimettente, il quale sembra, al contrario, ipotizzare un'omogeneità di fondo dei criteri, dai quali si discosterebbe soltanto la fattispecie censurata.
3.- Anche alla luce di quanto premesso, le questioni di legittimità costituzionale sollevate sono inammissibili sotto tutti i profili dedotti.
3.1.- Quanto alla pretesa violazione degli artt. 3 e 53 Cost., laddove viene lamentata l'irragionevole diversità di trattamento tra tributi e sanzioni, il rimettente non argomenta minimamente in ordine alle ragioni per le quali, a fronte della diversità delle suddette pretese erariali, debba sussistere un identico trattamento, stante la diversa natura e funzione e la distinta disciplina (per le sanzioni la regolamentazione fondamentale si rinviene nel decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, recante «Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell'articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662»).
Quanto alla lamentata diseguaglianza, contraddittorietà ed irragionevolezza nella determinazione del "valore della lite", quale "base imponibile", rispetto al presupposto del tributo - che il giudice a quo vorrebbe strettamente ancorato al valore unitario del processo come previsto per il rito civile - questi non spiega compiutamente perché, a fronte di una disomogeneità dei criteri fissati per determinare il valore della lite nei singoli ambiti processuali, calati sulle particolarità delle questioni ivi deducibili e sulle peculiarità dei diversi processi, solo il criterio del rito civile dovrebbe essere assunto quale tertium comparationis.
3.2.- Inoltre, con riferimento alle censure sollevate in riferimento all'art. 53 Cost., per violazione del principio della capacità contributiva, esse non appaiono comunque congruenti in relazione alla fattispecie normativa in esame. Secondo il costante orientamento di questa Corte, il principio della capacità contributiva come limite alla potestà di imposizione di cui all'art. 53 Cost. non riguarda «né una singola imposizione ispirata a principi diversi da quello della progressività, né [
] la spesa per i servizi generali [
] coperta da imposte indirette o da entrate che siano dovute esclusivamente da chi richiede la prestazione dell'ufficio organizzato per il singolo servizio o da chi ne provoca l'attività» (sentenza n. 30 del 1964; in senso conforme sentenze n. 167 del 1973, n. 149 del 1972 e n. 23 del 1968,) e, pertanto, non è invocabile e non può operare con riguardo alle spese di giustizia.
3.3.- Sono, altresì, inammissibili le censure proposte in riferimento agli artt. 24 e 113, primo comma, Cost.
Il rimettente non chiarisce in alcun modo per quale motivo il diritto di difesa sarebbe conculcato dal meccanismo di determinazione del contributo unificato nel ricorso cumulativo oggettivo mentre non lo sarebbe con riguardo a quello previsto per ogni singolo atto, quasi che la possibilità di difendersi fosse legata alla prerogativa di scegliere le modalità cumulative anziché quelle individuali.
3.4.- Parimenti inammissibili sono infine le censure formulate in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6 e 13 della CEDU. Il contrasto con le norme della Convenzione si configura come oggetto di mera asserzione, priva di alcun riscontro argomentativo in grado di giustificare la pretesa lesione del diritto ad un processo equo e ad una tutela giurisdizionale effettiva.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 3-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia - Testo A) - nella parte modificata dall'art. 1, comma 598, lettera a), della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2014), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 113 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, dalla Commissione tributaria provinciale di Campobasso, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 marzo 2016.
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